sabato 29 giugno 2013

Non se ne possono fregare di meno


Ho già espresso il dubbio che gli articoli e i libri di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella producano sdegno e sconforto sempre più profondi nei cittadini e assoluta indifferenza nei politici, di qualsiasi livello, secondo i quali lo sperpero di denaro pubblico può continuare persino oggi, quando invece si dovrebbe destinare anche l’ultimo centesimo alla crescita e alla riduzione della pressione fiscale.
Così, per aiutarvi a mantenere intatto o a accrescere il vostro sdegno, ecco il pezzo di Sergio Rizzo dal Corriere di oggi: http://www.corriere.it/economia/13_giugno_29/costi-spaziali-regioni_9c66f054-e075-11e2-aa9b-d132be5871d0.shtml.
Buona stampa. Destinata, però, a produrre ben pochi risultati. Quanti, immagino, produce la presenza degli stand regionali italiani al Salone di Le Bourget. Neppure il Comandante dell’Aeronautica di Rufus T. Firefly, Primo Ministro di Freedonia (http://www.imdb.com/title/tt0023969/), si farebbe indurre a comperare un oggetto volante da Cota o da Marini, anche perché non hanno nulla da vendere.
No, l’articolo di Rizzo rimarrà, come tanti altri, lettera morta. Vi aspettate forse che, per il prossimo anno, Vendola decida di non partecipare più al Salone di Le Bourget? O che Zaia decida di chiudere l’ambasciata del Veneto a Bruxelles? Dubito che sarete soddisfatti.
Il sistema ben difficilmente si riformerà da solo in assenza di qualche evento straordinario, come spiega l’editoriale di Angelo Panebianco, sempre dal Corriere della Sera di oggi: http://www.corriere.it/editoriali/13_giugno_29/piu-larga-opzione_9b57fda2-e075-11e2-aa9b-d132be5871d0.shtml.
Stampa così e così. Non già perché le considerazioni di Panebianco siano discutibili, quanto piuttosto perché mi sembra non volere affondare il coltello come si potrebbe, anzi, si dovrebbe nel trattare il tema dell’incapacità della politica di effettuare i necessari tagli della spesa pubblica. Vero che quello cui tende Panebianco è l’esortazione finale a Letta affinché agisca, ma avrei voluto che fosse più sferzante verso la Pubblica Amministrazione, i cui difetti enormi lui lascia intuire (e ne ha già parlato in altri editoriali), ma senza dedicargli lo spazio che io avrei giudicato adeguato. A mio avviso, non si parlerà mai abbastanza del contributo che la burocrazia dello Stato e degli enti locali ha dato e continua a dare alla crisi della nostra nazione. E non si potrà mai sperare in un vero cambiamento se la classe politica non avrà la cultura e il carattere (leggi: attributi) necessari per affrontare a muso duro la burocrazia e imporle di mutare radicalmente.
Che questo possa accadere e possa accadere nei tempi brevi indispensabili per dare una speranza al paese, francamente, non lo credo. Per essere irrimediabilmente pessimista, mi basta guardare alla vicenda emblematica di una società nata nel territorio padovano per volontà di alcuni enti locali. Si chiamava Cosecon (poi ribattezzata Attiva) e si occupava, inizialmente, di realizzare aree industriali e artigianali nei paesi della Bassa Padovana. In altre parole, è stata artefice della trasformazione di fertile campagna in cubi di calcestruzzo, molti dei quali sono vuoti (e non da ora per effetto della crisi, ma da sempre, perché si sono costruiti spazi di gran lunga superiori alle effettive necessità). Nel tempo, oltre a dedicarsi alla moltiplicazione di aree industriali in parte inutili, Cosecon ha ampliato il suo raggio di azione, non di rado con operazioni delle quali si è occupata anche la Magistratura. Fate una ricerca e troverete innumerevoli articoli su Cosecon-Attiva, che da ieri è in liquidazione (http://www.padovaoggi.it/economia/attiva-ex-cosecon-debiti-liquidazione.html), dopo aver bruciato decine di milioni di euro di denaro pubblico e delle banche, più o meno costrette a finanziare la società con risorse che, si può dire senza timore di smentite, sarebbero state molto più utilmente impiegate se destinate ad altre imprese (torneremo sul tema in un prossimo post) realmente produttive. Di questo spreco, che rende ancor più sconcertante la vista dei capannoni deserti che hanno preso il posto dei campi di frumento o di mais o di barbabietole, non risponderà nessuno. E questo sperpero non indurrà nessun politico a cambiare strada e ad avviare un serio programma di dismissione delle troppe società pubbliche che servono quasi esclusivamente a garantire poltrone e a produrre gestioni quasi sempre opache e spesso disastrose.
Il bello, anzi il brutto, è che leggi ci sarebbero già, come ricorda anche Rizzo. Un gran numero d’imprese o di proprietà pubbliche dovrebbero essere dismesse o liquidate da tempo, ma sopravvivono nell’incertezza del diritto o nell’indifferenza al diritto che sono, ormai, caratteristiche italiane. Le sole norme che vengono fatte rispettare veramente sono quelle cui sono sottoposti i normali cittadini, in particolare i più deboli.
Buona notte e buona fortuna.

P.S. Uno dei maggiori sostenitori di Cosecon-Attiva è stato l’allora Presidente del Veneto Galan, che, infatti, aveva “suggerito” alla finanziaria regionale Veneto Sviluppo di entrare nel capitale quale socio di rilievo (http://mattinopadova.gelocal.it/regione/2008/09/22/news/cosecon-volta-pagina-nascera-attiva-1.1187209). A posteriori, lo ammetto, è facile dare addosso a Galan, ma, se decidete di fare qualche ricerca, troverete davvero tanti articoli interessanti che inducono a riflettere.
Galan, se ve ne siete dimenticati, è il signore cui il barbiere di Montecitorio si rivolgeva chiamandolo “Onorevole Giustina Destro” (http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2011/09/12/news/galan-dal-barbiere-della-camera-con-la-tessera-della-destro-1.1163584).

venerdì 28 giugno 2013

A Canossa


Sul Corriere di oggi ho trovato un articolo dedicato alla diffusione del doping tra i ciclisti dilettanti siciliani. Sfortunatamente non è disponibile on line. Una delle vicende descritte nel pezzo, tuttavia, l’ho ritrovata in un blog: http://blog.cyclingpro.it/2013/06/27/sicilia-dopata-succedono-cose-dellaltro-mondo/.
Esatto: cose dell’altro mondo. Pura follia. Gente che si riempie di sostanze chimiche pericolose per vincere gare amatoriali di ciclismo. E la cosa non succede soltanto in Sicilia, come spiega quest’articolo de La Repubblica del 22 Marzo 2013: http://www.repubblica.it/sport/ciclismo/2013/03/22/news/doping_ciclismo_amatoriale-55149811/.
Se pensate che vi darebbe sollievo sapere che il fenomeno esiste anche altrove, allora leggete questo articolo pubblicato nel luglio dello scorso anno dal New York Times: http://www.nytimes.com/2012/07/28/sports/cycling/doping-in-cycling-reaches-into-amateur-ranks.html?_r=0. Oppure questo post, ancora precedente, da un blog americano che si occupa di ciclismo: http://303cycling.com/How-Wide-Spread-is-Doping-in-the-Amateur-Cycling. Da qui, se vorrete, potrete navigare verso altri articoli. Io l'ho fatto, ma adesso mi fermo.
Buona stampa. Anche per i blogger: non vale per tutti, ma molti di loro fanno un lavoro prezioso e diffondono notizie che, in molti casi, avrebbero una propagazione assai inferiore.
Come commento, aggiungerò solo che, se ricordo bene, ho già detto di non condividere affatto l’affermazione che un male comune è un mezzo gaudio. Di tutti i proverbi, mi sembra uno dei più stupidi. E tanto più stupido mi sembrerebbe evocarlo in questo caso.
E non trovo neppure così divertente leggere come un terzo degli iscritti a una gara siciliana si sia dato alla macchia quando ha saputo della presenza dei Nas. Mi fa sorridere soltanto a denti stretti.
Lo stesso sorriso che mi procura sapere che Giulio Tremonti si starebbe rappacificando con il tizio decrepito, dal quale si era allontanato a fine 2011, dopo la caduta del governo di cui erano stati i due principali esponenti (la gerarchia sostanziale non venne mai veramente chiarita). Non fu una separazione amichevole, proprio no. Ricordo interviste e commenti in cui 3Mounts si era tolto dalle scarpe quelli che lui considerava sassolini, usando il suo stile così garbatamente ironico, mai sprezzante… Il tizio decrepito, come accade spesso, aveva risposto per interposti valletti, affidando a loro il compito di ricambiare adeguatamente la sostanza maleodorante scagliata da Tremonti.
E alle elezioni dello scorso febbraio, 3Mounts si era candidato altrove, rimanendo, però, isolato in conseguenza delle disavventure dell'amico Bossi.
Ora, presumo con la curatissima chioma cosparsa di cenere, ha dovuto percorre la strada verso la sua Canossa (Arcore), dove non è stato neppure invitato a una cena elegante. Cosa non si deve fare per tornare in pista e riconquistare il potere sì bello e perduto?
E mi sa che il cammino sarà ancora lungo e duro, reso tale dall’ansia di rivalsa che sicuramente anima tanti dei suoi, forse non più ex, compagni di partito. Potete immaginare quanto starà strepitando Brunetta per allontanare il possibile ritorno del suo peggiore concorrente? Starà agitando le manine per scacciare il suo incubo più spaventoso. Io mi fermo qui: lascio al vostro piacere individuale fantasticare, e trovare conferme nei quotidiani, sulle reazioni dei tanti che, nel tempo, avevano dovuto ingoiare i piatti disgustosi allestiti da Tremonti, di cui tutto si potrà dire, tranne che non sia perfido.
Anzi, no, aggiungo qualcosa. Chissà come la prenderanno in Europa se e quando il bleso della Valtellina dovesse tornare a frequentare gli altri ministri dell’Economia? Dubito che siano ansiosi di ascoltare altre sue saccenti lezioncine impartite con quella voce stridula.
Al Ministero dell’Economia, invece, gli scansafatiche saranno felici: sai mai che il vecchio 3Mounts non riprenda a pagare l’affitto a loro insaputa… Studiare contratti, controllarne la congruità, verificare bonifici… Tutte rotture di scatole. Vuoi mettere un Ministro che paga al suo braccio destro l’affitto in contanti e senza dir nulla a nessuno?
E Josefa Idem è stata costretta a dimettersi; giusto, per carità, ma vogliamo fare i debiti paragoni…
Venendo a cose più serie, o forse neanche tanto, confermo i miei dubbi sul governo guidato da Enrico Letta. Probabilmente non potrebbe fare niente di diverso, ma finora si sono sentite molte parole e visti assai pochi risultati concreti. Anche le misure sulle assunzioni dei giovani, a quanto pare, non sembrano andare poi così in là, al contrario, come spiega Tito Boeri sul sito laVoce.info: http://www.lavoce.info/la-leggenda-dei-200mila-nuovi-posti-di-lavoro/.
Buona stampa.
Per concludere in bellezza, posso soltanto servirmi della musica. Questa sera torniamo al jazz, con un musicista fortunatamente molto longevo e molto fertile: Abdullah Ibrahim, precedentemente noto come Dollar Brand (http://en.wikipedia.org/wiki/Abdullah_Ibrahim). Una carriera di oltre cinquant’anni, ricca di straordinarie esecuzioni.
Vi propongo tre ascolti.
Water From an Ancient Well dall’album omonimo del 1986 (http://en.wikipedia.org/wiki/Water_From_an_Ancient_Well).


Passiamo a Desert Air, dal disco Desert Flowers del 1991.


Infine uno dei miei brani preferiti: Maraba Blues, tratto da Cape Town Flowers del 1997.



domenica 23 giugno 2013

Le interviste sono altra cosa


Oggi l’inserto del Corriere laLettura ospita un’intervista al puparo dello psiconano+barba-Mediaset, ossia il titolare di un’altra testa più ordinata fuori che dentro (opinione già manifestata in passato che, non dirò altro, è rimasta immutata).
Stampa così e così. Non tanto per quel che dice Casaleggio, di cui ognuno può e deve farsi una propria opinione leggendo, quanto piuttosto perché si tratta di un’intervista come usa oggi, ossia spedendo all’intervistato una lista di domande alle quali segue una lista di risposte, senza nessun contraddittorio. Niente male, non c’è che dire…
E’ vero, ho più capelli bianchi che grigi e più grigi di quelli del castano vagamente simile all’originale rimasti, e ne sono rimasti pochi di ognuno dei tre colori. Detto altrimenti: sono piuttosto datato. E, di conseguenza, sono portato a rimpiangere i tempi in cui le interviste si svolgevano tra due umani, non tra pezzi di carta, e l’umano che poneva le domande, se sapeva fare il suo mestiere, quando le risposte risultavano insoddisfacenti, tirava fuori denti e unghie per mettere in difficoltà l’intervistato e farne risaltare le contraddizioni o le affermazioni prive di adeguate argomentazioni.
Niente del genere, ovviamente, troviamo nella pseudo-intervista di Serena Danna al puparo. Qualità e attualità della quale, tra l'altro, risentono anche del lasso di tempo intercorso tra l’invio delle domande e la ricezione delle risposte. Chissà cosa ne direbbe Oriana Fallaci, una che le interviste, quelle vere, le sapeva fare? Io credo che ne direbbe male e non credo di sbagliare.
Musica, come sempre indispensabile sollievo (l’ho già detto, ma mi va bene ripetermi).
Torniamo alle interpretazioni di uno stesso brano da parte di diversi musicisti.
Il pezzo è di Damien Rice (http://en.wikipedia.org/wiki/Damien_Rice), un cantautore irlandese la cui popolarità ha tratto grande vantaggio dall’utilizzo di alcune sue composizioni come colonne sonore di serie televisive di successo.
Il brano si intitola The Blowers Daughter. Ascoltiamo per primo l’autore.


La seconda esecuzione, solo strumentale, è quella del trio Doctor 3 (Rea-Pietropaoli-Sferra), di cui vi ho già suggerito un ascolto in passato.


L’ultima interpretazione è quella di Megan Hilty, attrice e cantante americana.


giovedì 20 giugno 2013

Abbandoni


L’abbandono degli animali durante i mesi estivi credo sia una vergogna nazionale. Non conosco i dati degli altri paesi, non intendo fare confronti, mi basta leggere questo breve articolo del Corriere della Sera per rabbrividire e chiedermi cosa abbiano nella testa trecentocinquantamila italiani: http://www.corriere.it/animali/13_giugno_20/abbandonato-un-cane-ogni-due-minuti_93b375d0-d9c8-11e2-8116-cce4caac965d.shtml.
Buona stampa, anche se cronaca. La risposta alla domanda me la sono data, ma è meglio che la tenga per me, neppure in questo caso intendo superare i limiti che mi sono posto.
Passiamo oltre, con le mani che prudono, ma passiamo oltre.
Penso che chiunque di noi sappia dove si trovava alle 9 del mattino, ora di New York, di martedì 11 Settembre 2001.
Io ero a Milano, a casa di mia cugina e parlavo con lei in salotto quando Margherita, la figlia più giovane, ci raggiunse dalla sua stanza e ci fece accendere il televisore per vedere quel che accadeva a Manhattan. Poco dopo le salutai per andare in stazione e prendere il treno per Padova. A bordo, ovviamente, non si parlò d’altro che dell’attentato per tutto il tragitto.
Io cercai di tenermi appartato da quelle chiacchiere, da sempre riluttante a farmi coinvolgere dalle conversazioni in treno, tuttavia ricordo che, costretto a dire qualcosa, mi limitai a indicare come, in base al trattato, le nazioni aderenti alla Nato fossero tenute a partecipare a conflitti scatenati da un’aggressione al territorio di un paese alleato qual’era, con tutta evidenza, l’azione contro il World Trade Center.
E in effetti, sia pure servendosi della copertura dell’ONU che dette avvio alla missione chiamata ISAF, sia paesi aderenti alla Nato (inclusa l'Italia) sia paesi estranei all’alleanza hanno contribuito all’azione militare, dapprima concentrata nell’area di Kabul, successivamente estesa a tutto il territorio afgano.
Un’azione militare che, difficile sin dall’origine, è stata affossata dall’assurda idea di George W. Bush di andare, quasi contemporaneamente, a "esportare democrazia" in Iraq. Ok, è un’opinione personale (anche se trova molti sostenitori assai più preparati di me), ad ogni modo è evidente che né la guerra in Afghanistan né quella in Iraq si sono concluse come pensavano George W. e, soprattutto, quei saggi strateghi di Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Né l’Afghanistan né l’Iraq sono nazioni pacificate. Se possibile l’instabilità è peggiore oggi di quando si è iniziato a combattere, tant’è vero che, a distanza di oltre undici anni, gli Stati Uniti intendono avviare negoziati con quegli stessi talebani contro i quali hanno scatenato la loro ritorsione per l’attentato alle Twin Towers.
La trattativa è l’unica soluzione per poter effettuare il ritiro completo delle forze ISAF entro il prossimo anno, come previsto, e per farlo con la speranza che il paese non torni ad essere esattamente com’era prima dell’11 settembre 2001.
E’ difficile non pensare che questi anni siano trascorsi invano e che migliaia di soldati provenienti da tutto il mondo abbiano perso la vita o subito ferite devastanti inutilmente.
Il loro sacrificio mi sembra più che mai inaccettabile. E questo rende anche più significativo l’articolo di Paolo Giordano pubblicato da La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, il 16 Giugno: http://lettura.corriere.it/non-dimenticate-il-soldato-numero-53/.
Buona stampa. Un testo da rileggere e da conservare.

domenica 16 giugno 2013

Decreto del fare?


Buona stampa. E’ la dimostrazione, ancora una volta, di come un uomo intelligente non abbia bisogno di tante parole per spiegare il proprio pensiero. E di come anche gli umani diversamente intelligenti (avete capito perfettamente cosa intendo dire) abbiano bisogno di poche parole per rivelarsi tali.
E veniamo al governo guidato da Enrico Letta, il quale continua a mostrarsi, come tanti politici italiani e non, incapace di rinunciare a Twitter e alla comunicazione in generale. Viene quasi da ridere nel constatare che, dopo aver cinguettato per oltre un mese e mezzo, si sia finalmente deciso a varare il cosiddetto “decreto del fare” il quale, a prima vista, non sembrerebbe fare poi così tanto, salvo forse nel campo delle cause civili.
Letta & Co. hanno scalciato dal loro cammino qualche sassolino, ma i macigni restano lì, ben difficili da spingere sul ciglio della strada o perché cementati da assurde promesse elettorali o perché imbullonati da storiche alleanze per la conservazione. Ok, questo è cerchiobottismo allo stato puro, me lo dico da solo, tuttavia non c’è dubbio che, da un lato, il tizio decrepito ha fatto delle promesse (prevalentemente disattese) il tratto principale della sua esperienza politica e che, dall’altro, Pd e CGIL da tempo immemorabile si sostengano l’un l’altra e che questa storica alleanza sia sostanzialmente “conservatrice”, ossia per nulla incline a incidere su materie quali, per esempio, mercato del lavoro e funzionamento della pubblica amministrazione, ambiti in cui, al contrario, è indispensabile intervenire e con determinazione.
Il “decreto del fare”, in sostanza, mi sembra soprattutto “fare” piacere al tizio decrepito e a Epifani, che, infatti, ne parlano gran bene, probabilmente perché non tocca nessuno dei loro interessi e neppure quelli delle loro “aree d’influenza”.
E guarda caso non piace a molti commentatori, soprattutto quelli che insistono sulla necessità di agire rapidamente per alleggerire il carico fiscale sul lavoro e semplificare effettivamente la vita delle imprese e dei cittadini, sfoltendo la barbarie degli innumerevoli assurdi adempimenti, molto spesso anche vessatori, loro imposti da una burocrazia il cui unico scopo è giustificare la propria esistenza e procurarsi retribuzioni che non hanno eguali in nessun paese civile.
Il “decreto del fare” è il tema del giorno, perciò non dovete far altro che andare a cercare articoli nei siti dei quotidiani. Tra quelli che ho letto, mi è piaciuto quello di Dario Di Vico sul Corriere (al momento non disponibile on line): condivido l’opinione che queste misure sono prevalentemente provvedimenti di modesto spessore, interventi fatti con il cacciavite, insomma nient'altro che aggiustatine...
Non vi ho dato collegamenti ai commenti sulle misure varate dal governo, ma vi propongo, a proposito di retribuzioni pubbliche, alcuni pezzi niente male, giusto per non dimenticare di cosa stiamo parlando. Sono articoli anche datati, ma non per questo privi d’interesse, al contrario: http://www.lettera43.it/economia/macro/41011/manganelli-stipendio-da-re.htm,
Buona stampa. Sbaglio o c’è qualcosa che non quadra nel rapporto tra lo stipendio del Presidente degli Stati Uniti (400.000,00 dollari, ossia euro 300.684,05) e quello del Capo della Polizia di Stato italiana (ossia oltre 621.000,00 euro)? E tra quello del capo dello staff della Casa Bianca (172.000,00 dollari, ossia 129,294.14 euro) e quello del Segretario Generale della Camera dei Deputati (oltre 406.000,00 euro)?
Non sbaglio, non quadra nulla nelle retribuzioni dei membri della pubblica amministrazione italiana e sarebbe il caso di metter mano alla questione con il decespugliatore, non con le cesoie, e cancellando dal dizionario quella locuzione intollerabile, diritto acquisito, che fa parte a pieno titolo delle assurdità semantiche con le quali politici, sindacalisti e burocrati hanno nel tempo legittimato la spoliazione della collettività, i benefici immeritati e spropositati di pochi a fronte dei sacrifici sempre più dolorosi dei molti.
Meglio finirla qui e, prima di passare alla musica, dedicare due righe all’amico del tizio decrepito, il quale ha fatto ordine a Istambul, con metodi non troppo diversi da quelli impiegati da coloro i quali, spudoratamente, ha criticato e continua a criticare. Non sarà certo Assad, ma sembra sempre più simile a un generale egiziano, solo un po’ più integralista. Lasciamo perdere…
Ketil Bjørnstad è un pianista norvegese di cui vi ho già parlato in occasione di un post in cui ho proposto ascolti dalla terra di confine tra classica e jazz. Oggi ve lo ripropongo in una versione strettamente jazz (anche se il jazz dei musicisti scandinavi si può quasi considerare un genere a sé stante). Il pezzo, Remembrance 3, è tratto dall’album Remembrance, pubblicato da ECM nel 2009. Accanto a Bjørnstad ci sono il sassofonista Tore Brunborg e il batterista Jon Christensen, anche loro norvegesi.


Chiudiamo con un altro ascolto di jazz. Anche Charlie Haden è già stato “ospite” del mio secchiello d’acqua. In realtà è uno dei musicisti che ha trovato più spazio nel blog, come conseguenza del fatto che occupa un ampio spazio anche nella mia personale classifica…
Land of The Sun è un album del 2004, vincitore di un Grammy Award nel 2005 per il jazz latino. E, in effetti, si tratta di un disco in cui Haden si è circondato di musicisti di tradizione cubana o latinoamericana (tra tutti cito soltanto il pianista Gonzalo Rubalcaba). Ho scelto il quarto brano, Solamente una Vez, ovviamente perché è uno dei miei preferiti, ma sono sicuro che piacerà anche a voi tre.


lunedì 10 giugno 2013

Questa è la magia della rete


Qualche giorno fa, Rai Radio3 ha trasmesso, credo nel corso di Fahrenheit, la canzone Avec Les Temps di Leo Ferrè interpretata dall’autore. E’ una canzone d’amore, più precisamente parla della fine dell’amore. E’ struggente e desolata, bellissima.
Sono andato a cercarla su YouTube e, ovviamente, l’ho trovata. Insieme a numerose versioni di altri interpreti, da Dalida a Franco Battiato. Poteva e voleva essere l’occasione per un post tutto dedicato a questo splendido brano, ma le cose, con internet, alle volte vanno diversamente da come s’immagina.
Restiamo, però, su Leo Ferrè ancora per qualche minuto. Non posso, infatti, non farvi ascoltare la sua meravigliosa Avec Les Temps.


Qui trovate il testo francese e una buona traduzione italiana (http://www.musicaememoria.com/leo_ferre_avec_le_temps.html).
Non ci fermiamo, tuttavia, su questa canzone perché, qui sta il bello, tra i brani che YouTube assimila a quello di Ferrè c’era un altro pezzo dedicato all’amore, meno tormentato, ma non privo di malinconia, interpretato da Chet Baker con la sua tromba: Everytime We Say Goodbye, uno degli innumerevoli capolavori di Cole Porter.
Come naturale, l’ho riascoltato e ho deciso di condividerlo con voi, uscendo dal percorso originario. Ne vale la pena.


Tra le altre versioni di Everytime We Say Goodbye, ho trovato quella interpretata dal cantante dei Simply Red, Michael Mick Hucknall. Anch’essa merita di essere ascoltata.


Come spiega la didascalia di YouTube, Hucknall la cantò dal vivo nel famoso stadio Old Trafford nell’agosto del 1998 per commemorare il quarantesimo anniversario di un disastro aereo avvenuto a Monaco di Baviera nel 1958. Nell'incidente era rimasto coinvolto il velivolo che riportava in patria la squadra del Manchester United, dopo una partita giocata a Belgrado contro la Stella Rossa.
Non ne sapevo nulla e ho fatto la cosa più ovvia, sono andato su Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Munich_air_disaster.
E con questo vi saluto, convinto, spero a ragione, che anche voi tre sarete contenti del mio “lavoro” odierno.

domenica 9 giugno 2013

Quant'è profondo il male


Si rafforza in me il timore che la nostra società non sappia trarre beneficio dalla grande capacità di diffondere informazioni e, perché no?, anche cultura offerta dai mezzi di comunicazione disponibili.
Gli strumenti che la tecnologia ci offre vengono impiegati in maniera spesso dissennata, oltrepassando limiti che dovrebbero essere invalicabili e che, al contrario, vengono violati anche (vien da dire soprattutto) da coloro i quali dovrebbero difenderli con le unghie e con i denti.
Un esempio è questo video di fine aprile, del quotidiano inglese Telegraph, disponibile su YouTube, nel quale si parla delle condizioni di Nelson Mandela, poi peggiorate ulteriormente negli ultimi giorni.
Le immagini del leader sudafricano mi sembrano intollerabili. Non riesco a immaginare una ragione decente per mostrare l’agonia di un uomo di 94 anni, consumato dalle malattie respiratorie contratte durante la lunghissima detenzione subita sotto il regime razzista che, quando, per fortuna, ne ha avuto la possibilità, ha saputo riformare con straordinario equilibrio.
Guardate.


Mala stampa. E intollerabile Jacob Zuma.
Chi abbia vissuto, come me, l’agonia di una persona cara cercando di proteggerla dalla curiosità morbosa e invadente di gente che voleva solo catturare un dettaglio da poter in fretta fare oggetto di pettegolezzo, sa di cosa parlo.
Spero di essere stato chiaro, anche se mi rendo conto che emotivamente l’argomento mi priva della lucidità necessaria.
Com’è patetico il lamento di coloro i quali si accogono dell’invadenza dei media soltanto quando ne mettono in mostra gli aspetti che vorrebbero tenere nascosti. Com’è grottesco ascoltare le loro proteste dopo che hanno cercato quasi disperatamente notorietà e attenzione, sfruttando tutte le possibilità offerte anche dai più squallidi fogli e programmi televisivi. E in Italia, siccome sappiamo sempre fare meglio degli altri (si fa, come ovvio, per dire) gli esempi si sprecano e non sarò io a dare a certa gente un altro, pur infimo, spazio.
Chiudo con una canzone di Jacques Brel, scelta non tanto per il titolo, che pure ci sta, ma per l’ironia del testo (http://www.infinititesti.com/2012/02/09/jacques-brel-le-moribond-testo-e-traduzione/). Sa il cielo se abbiamo bisogno d’ironia, di tantissima ironia, per sopportare quello che accade attorno a noi.


giovedì 6 giugno 2013

Governate, per favore. Sul serio, non su Twitter o in televisione


Chiuderemo con riflessioni tutt’altro che rassicuranti, perciò prendiamo le mosse dal Corriere della Sera con una notizia divertente proveniente dalla Spagna e poi con l’editoriale di Gian Antonio Stella.
Buona stampa. In qualità di proprietario di cane che non fa nessuna fatica a raccoglierne la cacca, sarei felicissimo di veder applicata anche da noi una sanzione simile a quella ideata dal Municipio di Brunete. Dubito, tuttavia, che il mio desiderio si trasformi in realtà. A parte i ricorsi contro presunte violazioni della privacy (che in Italia vengono invocate quasi sempre da chi ha la coscienza sporca, poco o tanto), non rientra più nella cultura del nostro paese punire chi viola le norme. E le forze dell’ordine, in molti casi, preferiscono girare la testa dall’altra parte piuttosto che sanzionare le infrazioni, magari modeste, che tuttavia sono il terreno fertile in cui affonda le radici l’illegalità diffusa dell’Italia di questi anni.
E passiamo a Stella, il quale affronta un argomento né leggero né confortante, ma il tono è amabilmente graffiante: http://www.corriere.it/editoriali/13_giugno_06/il-coraggio-di-decidere-gian-antonio-stella_86691bbc-ce62-11e2-869d-f6978a004866.shtml.
Buona stampa. Con la sua bonaria ironia, Stella pone in evidenza un tema del quale, in realtà, abbiamo già parlato in precedenza: la mediocre qualità della classe politica, incapace di assumersi realmente la guida del paese. Non si tratta di un problema soltanto italiano. Anche altrove i politici si preoccupano più del consenso che dell’efficacia dell’azione di governo e, se per ottenere il consenso è utile prendere provvedimenti sbagliati o non prenderne, poco importa. Da noi, però, come accade spesso, il fenomeno è particolarmente grave e ha tutta una serie di conseguenze ulteriori di cui ho parlato anche troppo.
E veniamo ad argomenti ancor più preoccupanti con il Sole 24 Ore: nell’edizione cartacea di oggi c’è un’intera pagina dedicata al ritorno sulla scena di alcuni degli elementi che hanno scatenato la crisi finanziaria del 2007. Purtroppo l’edizione online offre soltanto una versione ridotta dell’interessante analisi. Ecco i link agli articoli “tagliati”: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-05/la-speculazione-come-2007-175637.shtml?uuid=Ab9QMS2H e http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-05/bond-salsiccia-mutui-subprime-173322.shtml?uuid=AbyK7R2H.
Buona stampa. Il “ritorno di fiamma” tra le grandi banche d’affari e l’alto rendimento possibile con certe operazioni finanziarie, magari svolte da entità parallele non soggette al controllo delle banche centrali e delle autorità preposte (come SEC o Consob), non può che spaventare. Come ho scritto molte volte nei mesi scorsi, dal 2007 non è stato fatto quasi nulla per evitare i fenomeni all’origine di quella crisi. Nulla impedisce, come spiega il pezzo di Morya Longo, il ritorno sul mercato di tutta una serie di titoli “sintetici”, ideati per trasferire rischi eccessivi a investitori ignari di quel che vien loro venduto.
Il problema è che, come ben sottolinea l’inchiesta del Sole 24 Ore, mentre poco o niente è stato fatto per porre un freno alla creazione e alla diffusione di rischio da parte di banche e altre entità finanziarie, molto è stato fatto dagli stati e dalle banche centrali per contrastare gli effetti della crisi esplosa dopo il 2007. Gli uni e le altre, in modi diversi, sono intervenuti sparando quasi tutte le munizioni. Tant’è che il debito pubblico mondiale è quasi raddoppiato (da quasi 29 mila miliardi di dollari a oltre 50.000) e la quantità di moneta disponibile a livello mondiale si è mossa in maniera simile (da 34.384 miliardi di dollari a 54.850 miliardi). Il primo dato si spiega con l’impegno degli stati per impedire il fallimento di grandi istituti di credito (da Royal Bank of Scotland a Dexia, da Citi a Monte Paschi di Siena giusto per fare qualche nome) piuttosto che per attenuare le conseguenze della depressione. Il secondo trova fondamento nelle operazioni con cui le banche centrali hanno tentato di evitare o ridurre la mancanza di credito per imprese e famiglie, senza ottenere grandi risultati, favorendo anzi la speculazione perché l’ampia disponibilità di fondi è stata sfruttata da banche e società finanziarie proprio per operazioni su titoli e non per finanziare l’economia reale.
Non esiste spazio perché gli stati e le banche centrali possano replicare interventi del tipo, delle dimensioni e della durata di quelli posti in essere dal 2007. Detto altrimenti: se un’altra crisi finanziaria dovesse derivare dalla nuova “febbre del rendimento” che si sta diffondendo sui mercati, saremmo praticamente senza difese.
Si può solo sperare che i leader mondiali diano torto a Stella e dimostrino di saper governare sul serio e non attraverso Twitter o Facebook o blog vari. E si decidano a farlo in fretta. Soprattutto quelli, come la signora Merkel, che ha fatto pagare a una buona parte del mondo le sue aspirazioni di rielezione, o come Hollande e il tizio decrepito che hanno fatto promesse assai difficili da mantenere. O come il Primo Ministro giapponese Abe, la cui politica economica aggressiva potrebbe non ottenere nessuno dei risultati auspicati e inserirsi, invece, come un pericoloso detonatore di una nuova crisi, tanto che alcuni la chiamano Abegeddon (http://www.cnbc.com/id/100790158) e non più Abenomics (http://en.wikipedia.org/wiki/Abenomics).
C’è poco da stare allegri, come avevo detto all’inizio.
Buona notte e buona fortuna.

martedì 4 giugno 2013

Amicizia fuori luogo


Quanto accade in Turchia mi sembra estremamente preoccupante e dovrebbe indurre i principali paesi europei a riconsiderare attentamente il rapporto con Ankara, vissuto con la consueta leggerezza degli interessi domestici anziché considerando la gravità delle prospettive internazionali.
Che il governo guidato da Erdogan sia protagonista di un grave processo involutivo, mi pare indubbio. Una conferma la si trova, tra gli altri, in questo interessante articolo del Financial Times di ieri: http://www.ft.com/intl/cms/s/0/901b1d04-cc46-11e2-9cf7-00144feab7de.html#axzz2VAecrMhE.
Buona stampa.
Oppure in questa ricostruzione, breve e un po’ ironica, dei rapporti tra Turchia e Siria da La Stampa: http://www.lastampa.it/2013/06/03/esteri/assad-si-vendica-dellex-amico-erdogan-la-primavera-turca-si-ribella-al-regime-EufJkAH2xQquHmwuEiZIBN/pagina.html.
Buona stampa.
Sono due gli aspetti che mi colpiscono e mi spaventano di quanto accade in una nazione che, per tante ragioni, ha grande importanza per gli equilibri mediorientali e non solo.
Il primo è il fatto che l’involuzione, contrassegnata da un crescente integralismo, si verifica in netto contrasto con la cultura di un paese tradizionalmente rivolto a Occidente. Il sostegno popolare di Erdogan, infatti, non gli garantisce la maggioranza del consenso e molte misure adottate recentemente dal suo governo fanno a pugni con la tradizione laica consolidatasi dalla fondazione della Turchia moderna da parte di Kemal Atatürk. Il risultato è un conflitto drammatico e profondo, come dimostra l’improvvisa e rabbiosa contestazione che, credo a torto, induce taluni commentatori ad accostare gli avvenimenti turchi a quelli delle cosiddette “primavere arabe”.
Il secondo aspetto che mi pare importante è, al di là della violenza evidente nella repressione, l’atteggiamento addirittura sprezzante con cui Erdogan affronta la protesta. In questo sì, direi, quanto avviene in Turchia si può accostare a quanto accaduto in Tunisia, in Egitto, in Libia e in Siria. La Turchia, però, diversamente da queste nazioni, è una democrazia. Erdogan è stato eletto con regole democratiche, non è arrivato al potere con colpi di stato o attraverso forme di cooptazione da parte di regimi dittatoriali come Mubarak, Ben Alì, Gheddafi e Assad. In breve: mi lascia molto perplesso l’inclinazione a calpestare chi lo contesta da parte di un politico che dovrebbe aver saldi dentro di sé i principi democratici.
E resto sconcertato dal silenzio da parte dei politici italiani. In particolare, appare assordante il silenzio del tizio decrepito, il quale ha dimostrato in questi anni una rara capacità di stringere rapporti amichevoli con alcuni dei leader internazionali più controversi (eufemismo senz’altro generoso), tra i quali Erdogan. Rapporti amichevoli ai quali, bisogna dargli atto della lealtà, frutto, evidentemente, di legami molto forti e significativi, non ha voluto porre fine neppure di fronte a eventi come quelli, ad esempio, della repressione libica.
Non credo che l’amicizia possa e debba avere spazio nei rapporti tra le persone chiamate a guidare una nazione. Certo, è essenziale stabilire buone relazioni, favorire la confidenza e la stima reciproche, creare le condizioni per la comprensione e la collaborazione, ma l’amicizia mi pare che non dovrebbe aver spazio e, se mai si dovesse creare, andrebbe tenuta ai margini di un rapporto che è personale per necessità imposta dai ruoli, ma riguarda le nazioni.
La confusione tra persona e ruolo è un errore molto grave che si verifica anche in ambiti diversi da quello politico. Gli studi di economia aziendale ne offrono innumerevoli esempi negativi.
Guardando alla politica nazionale, purtroppo, continuiamo ad avere prove quotidiane di come sia diffusa e pervasiva l’alta (in molti casi esagerata) considerazione di sé e la volontà di preservare il proprio orticello di potere anche a prezzo di conseguenze dannose per la collettività.
Un esempio per tutti quanto accade all’interno del Pd e della sinistra in generale riguardo alle proposte di modifica della Costituzione. Ne parla Antonio Polito nell’editoriale del Corriere di oggi: http://www.corriere.it/editoriali/13_giugno_04/presidenzialismo-politica-Polito_33aa0622-ccd5-11e2-9f50-c0f256ee2bf8.shtml.
Buona stampa. Intendiamoci: anche a me piace poco l’idea che il tizio decrepito possa decidere di scalare la vetta della Presidenza della Repubblica, soprattutto dopo un aggiornamento della Costituzione che ne accrescesse il potere e che non lo bilanciasse con adeguati contrappesi. E tuttavia, se la maggioranza degli italiani decidesse in questo senso, potrei essere insoddisfatto, ma dovrei farmene una ragione.
Il tizio decrepito è un problema ed è un problema anche lo psiconano+barba-Mediaset, ma l’aiuto che entrambi hanno ricevuto dai loro cosiddetti avversari, in particolare del Pd, rimane impressionante. Un aiuto senza il quale né l’uno né l’altro sarebbero arrivati fin qui.
Abbiamo sprecato vent’anni per colpa di Berlusconi, certamente, ma anche per colpa dei suoi “peggiori” avversari.
Volete un paio di nomi: Rosi Bindy e Massimo D’Alema. Due tra i grandi (anzi, maggiori) elettori del tizio decrepito e dello psiconano+barba-Mediaset.

sabato 1 giugno 2013

E se domani?


Il Fatto Quotidiano è senz’altro il quotidiano che più ha sostenuto lo psiconano+barba-Mediaset e il suo M5S. E, potrei sbagliare, ma ne dubito, sembrerebbe avere qualche difficoltà ad assumere una posizione anche blandamente critica.
Oggi, per esempio, il pupo ha dato libero sfogo alla sua vera natura. Anche il quotidiano del duo Padellaro-Travaglio ne da conto: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/01/grillo-faremo-conti-con-floris-e-ballaro-rodota-e-gabanelli/613248/.
Cronaca. Dunque non meriterebbe voto. Eppure… eppure…
Mala stampa. Non c’è dubbio che il tizio decrepito avesse molto più potere di Grillo quando emanò il suo spocchioso e piuttosto schifosetto “editto bulgaro”, tuttavia, che il sedicente leader di un movimento asseritamente votato a cambiare (asseritamente in meglio) dalle fondamenta il paese voglia “fare i conti con qualcuno”, mi piace poco, anzi pochissimo. E mi piace ancor meno che il Fatto Quotidiano non spenda una parola per criticarlo.
Per capirci: sono consapevole che non si tratta del Times o del Washington Post o di un altro quotidiano con qualche decennio di autorevolezza e imparzialità consolidate alle spalle, però… Quando ci fu “l’editto bulgaro” (18 Aprile 2002), il Fatto Quotidiano ancora non esisteva (esce dal Settembre 2009), ma si fa poca fatica a immaginare cosa ne avrebbe scritto. Le cannonate le sentiremmo ancora.
Chissà perché qualcuno, pur se espresse in maniera poco diversa, ritiene di trattare le minacce alla libertà con due pesi e due misure? Oggi Grillo non può cacciare Floris e la Gabanelli. E se domani, invece, avesse il poter per farlo?
Buona notte e buona fortuna.