lunedì 11 luglio 2016

Le radici del problema

Ho trascurato un po’ il blog negli ultimi giorni, ma non sono per niente sicuro che voi tre abbiate sentito la mia mancanza…
Comincio questo post dal tema sul quale vi avevo lasciato, ossia quello delle banche, della crisi delle banche italiane. Ieri l’editoriale del Corriere della Sera era dedicato all’argomento ed era firmato da Ferruccio de Bortoli: http://www.corriere.it/cultura/16_luglio_10/riflessione-banche-f6a3195a-460a-11e6-be0f-475f9043ad28.shtml.
Buona stampa. De Bortoli ripercorre correttamente, sia pure in modo rapido e parziale, le vicende che hanno portato alla situazione di difficoltà in cui si trova oggi il sistema bancario italiano. E sottolinea come le responsabilità siano diffuse tra istituzioni diverse e tra chi tali istituzioni ha guidato negli ultimi anni.
Ha ragione de Bortoli quando scrive (copio e incollo): “Il premier Renzi ha detto a Porta a Porta che la normativa sul bail in gli è «arrivata cotta e mangiata». E ha aggiunto, in questi giorni, che gli errori sono stati compiuti dai suoi predecessori. Sicuro che non avrebbe potuto bloccarla nel febbraio 2014?
Non c’è dubbio, l’ho già scritto più volte, che le difficoltà del sistema bancario italiano affondano le loro radici in anni anche lontani. Ciò non toglie che ben poco sia stato fatto anche negli anni e nei mesi recenti per impedire che i fattori di disagio si aggravassero sino a provocare il malessere conclamato di oggi.
De Bortoli, per esempio, ricorda che la crisi di Banca MPS è stata originata dalla folle acquisizione di Antonveneta nel 2007 (quando, tra l’altro, già si sentiva piuttosto forte l’odore di bruciato dei mutui americani e di quel che su di essi si era edificato).
Osservazione corretta, cui, però, non segue una neppure minima ricostruzione di chi, nelle posizioni chiave in quel momento, quella folle acquisizione (comunicata ufficialmente da MPS con una nota in data 8 novembre 2007) non ha impedito. Lo faccio io. Presidente del Consiglio era Romano Prodi. Ministro dell’Economia e delle Finanze era Tommaso Padoa Schioppa. Governatore della Banca d’Italia era Mario Draghi. Questi nomi, De Bortoli non ha voluto farli. Così come non ha voluto fare quello di Giulio Tremonti, a lungo Ministro dell’Economia nei governi presieduti da Silvio Berlusconi, posizione nella quale ha ingaggiato prima una infruttuosa guerra con le fondazioni bancarie per ridurne l’autonomia. E successivamente ha fatto delle medesime fondazioni bancarie il fulcro della parte (formalmente) privata della Cassa Depositi e Prestiti, trasformata, ceteris paribus, nella migliore imitazione di enti dei quali ben pochi rimpiangono la scomparsa (almeno spero). Forse perché distratto dalla sua strategia, Tremonti (come predecessori e successori) ha chiuso gli occhi sulle posizioni, ad esempio, di Fondazione Monte Paschi e di Fondazione Carige, le quali non avevano ottemperato alla legge che imponeva di cedere il controllo delle banche conferitarie. Una sintesi concisa e comprensibile delle norme che hanno contribuito alla nascita e all’evoluzione delle fondazioni bancarie la trovate qui: http://www.fondazionecariparo.net/docs/bilanci/Evoluzione_normativa_FOB.pdf).
E’ evidente che la politica italiana non ha mai realmente rinunciato a esercitare il proprio controllo sul sistema bancario, a utilizzarlo per i propri scopi nel modo più disinvolto. Solo la connivenza con il sistema politico ha consentito che arrivassero, e restassero per anni, al vertice di alcune delle maggiori banche italiane personaggi come quelli che De Bortoli elenca in chiusura del proprio articolo. Ricordiamoli anche noi: Fiorani, Sonzogni, Mussari, Zonin, Berneschi, Faenza, Bianconi e Consoli. E forse se ne potevano citare anche altri.
Non meno evidente, però, è il fatto che Banca d’Italia e Consob non abbiano alzato la voce per porre fine a questo stato di cose. In qualche caso, anzi, hanno finito per favorire i giochi di potere. Il minimo che si può dire è che molti, al loro interno, speravano (e sperano) di servirsi delle porte girevoli e quindi non avevano (e non hanno) interesse a svolgere nel modo più rigido il proprio ruolo di controllori.
Non riesco a non pensare con sconforto al fatto che sono trascorsi inutilmente quasi undici anni dalle “famose” telefonate tra politici e banchieri che hanno contrassegnato i mesi delle scalate ad Antonveneta e BNL da parte, rispettivamente, di Popolare Italiana (già Lodi) e Unipol che si opponevano ad ABN-Amro e BBVA. Berlusconi che parlava con Fiorani. Fassino che faceva altrettanto con Consorte. Niente di penalmente rilevante, in quelle conversazioni, ma tanto di cui preoccuparsi per quel che riguarda la capacità del sistema bancario di muoversi in modo indipendente, come dovrebbe. La montagna di sofferenze che da mesi si cerca di scalfire nasce, in parte, anche dalle relazioni spurie tra politica e banche, come lascia intendere bene Ferruccio de Bortoli. 
Guarda caso, i contendenti italiani di quelle battaglie facevano riferimento uno al centro-destra l’altro al centro-sinistra. Guarda caso, nei mesi del 2004 e 2005 in cui le contese si svolgevano, alla guida di Banca d’Italia c’era Antonio Fazio, che certo non si poneva come arbitro imparziale (ricordo bene alcune parole di Paolo Madron tratte da un pezzo pubblicato su Panorama nella primavera del 2005 e relativo al confronto per Antonveneta tra ABN-Amro e Popolare Italiana: “diritti degli olandesi calpestati da una Banca d’Italia che invece di fare l’arbitro si comportava da giocatore”. Ecco l'intero articolo: http://archivio.panorama.it/archivio/Se-due-potenti-fanno-aumma-aumma). 
Problemi simili li hanno anche altrove, ma io continuo a pensare che “mal comune, mezzo gaudio” sia un proverbio stupido e senza fondamento e che sia essenziale occuparci dei nostri problemi senza guardare a quelli degli altri, magari in maniera strumentale.
E sono ben contento di trovare conferma del mio pensiero in questo articolo di Luigi Zingales, pubblicato ieri da Il Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/viaggi/2016-07-10/deutsche-bank-e-monte-paschi-mal-comune-nessun-gaudio-105357.shtml?uuid=AD1T4oq&fromSearch.
Buona stampa. Il mio autorevole concittadino non ha paura di scrivere quello che pensa. Forse anche altri la pensano come Zingales, ma non hanno il coraggio di dirlo apertamente.
Prima della musica, vi suggerisco un ultimo articolo. Si tratta dell’editoriale del Corriere di oggi, scritto da Ernesto Galli della Loggia e dedicato al mondo islamico, ma non solo: http://www.corriere.it/cultura/16_luglio_11/galli-loggia-4c1802a2-46cd-11e6-991c-561dff04b946.shtml#.
Buona stampa. Io mi limito a osservare che, non troppo diversa da quella dell’Arabia Saudita, è la posizione del Qatar, il quale sfida proprio sul terreno del sostegno a movimenti di vario genere, inclusi alcuni non così ostili al terrorismo, il più potente vicino.
Contro alcuni di costoro, che militano senz’altro tra i nemici della cultura e della musica, oggi schiero due famose voci del rock: Rod Stewart e Van Morrison. Riprendo, così, un confronto nato ieri sera su Facebook con il mio amico Giorgio. Il brano è lo stesso (e, nel caso di Morrison, ve l’ho già proposto, ma vale la pena ascoltarlo ancora): Have I Told You Lately. Cominciamo con Rod Stewart.


E chiudiamo con Van Morrison.


P. S. Io preferisco Van Morrison.

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