sabato 19 agosto 2017

Un testo rimasto nel cassetto

Una rapida premessa.
Quando decido di scrivere un testo da pubblicare sul blog, per essere certo di adottare il formato giusto, apro un pezzo precedente, lo duplico e cambio il nome (banale: la data in cui ho finito la stesura), poi ne cancello il contenuto e inizio a scrivere. Oggi, dopo molto tempo, mi era tornata la voglia di scrivere e, così, ho aperto la cartella delle bozze e scelto il file 110916, che non ho mai pubblicato. Beh… forse ho sbagliato. O forse no. Lascio a voi il giudizio. 
Il tema che intendevo trattare oggi, lo rinvio ai prossimi giorni. Se qualcuno dei miei tre lettori sperava che il mio secchiello si rianimasse, pur senza promettere nulla, posso dire che sarà probabilmente così.

Nel 2001, come quest’anno, settembre era iniziato con giornate intensamente estive, il cui calore era temperato dal vento, che teneva lontana l’afa e consentiva di godere di un cielo terso raro, nell’Italia settentrionale come a New York, quando l’estate si avvia alla conclusione.

Nel primo pomeriggio di martedì 11 settembre 2001 mi trovavo a Milano. Reduce da un colloquio per un lavoro, avevo raggiunto casa di mia cugina Federica e nel salotto conversavamo tranquillamente quando Margherita, la figlia più giovane, ci disse di accendere il televisore. Erano circa le tre. Quello che vedemmo erano le colonne di fumo che si alzavano dalle Torri Gemelle e si disperdevano nel cielo limpido di una mattina destinata a imprimere il proprio segno nella storia dell’umanità. 
L’indomani, nei quotidiani, trovai commenti sostanzialmente simili: allo stupore e allo sgomento si sovrapponeva la convinzione che si trattasse di un atto di guerra che avrebbe cambiato in profondità il nostro modo di vivere, un attacco alla nostra civiltà e alla nazione che maggiormente la rappresentava. 
Nei giorni seguenti, quando il trauma già iniziava ad assorbirsi, sia pure molto lentamente, si fecero sentire le voci più ansiose di imporre un determinato punto di vista, anche con contrapposizioni non prive di una certa ruvidezza (come il confronto tra Fallaci e Terzani).
Pochi, tuttavia, sembravano cogliere la complessità e la drammaticità del processo che si era aperto in quella luminosa mattina di settembre, un processo che dura tuttora e che ha combinato i propri effetti con altri eventi, di natura diversa, ma di portata altrettanto grande. 
Il mondo in cui viviamo oggi, le tragedie umane e le incertezze economiche e politiche del presente sono conseguenza di un flusso di avvenimenti, alcuni connessi all’attacco agli Stati Uniti, e delle reazioni sbagliate che hanno prodotto.
In modo assai semplicistico, ne sono perfettamente consapevole, sono portato ad attribuire la drammaticità dell’epoca in cui viviamo al progressivo indebolirsi dei valori che, sia pure a fatica e in misura diseguale, erano sembrati radicarsi più diffusamente nel mondo nella parte conclusiva del secolo scorso, valori le cui radici tendiamo a vedere nel pensiero illuminista (e certo è giusto), ma che, in realtà, hanno avuto origine e ricevuto vigore in epoche più lontane, nelle quali, tra le altre, erano state le popolazioni arabe a fornire all’umanità le riflessioni e le intuizioni di ingegni formidabili, stimolati da un clima di indubbia libertà intellettuale.
Mi sembra si possa sostenere che, per ragioni diverse, si è verificata un’involuzione tutt’ora in corso e che, forse, attraversa la sua fase peggiore. In Occidente ha portato all’emergere o al riaffermarsi di politici mediocri e opportunisti, privi di visione strategica e di autentica capacità di guida, inclini a piegarsi alle peggiori e più pericolose pulsioni dei loro concittadini. Nel vicino Oriente, da dove erano partiti gli autori della strage delle Torri Gemelle, si è manifestata nell’affermarsi e nel diffondersi di interpretazioni distorte e fanatiche dell’Islam, favorite anche dal dissolversi progressivo di gran parte delle strutture statali e delle ambizioni delle giovani generazioni di un’aerea che va dal Nord Africa al Pakistan, dall’Afganistan alla Somalia.
Due involuzioni che si alimentano reciprocamente e che creano sempre nuovi motivi di incomprensione e di conflitto.
Guardo il cielo oltre la finestra: anche oggi è azzurro sopra la distesa dei verdi diversi che si mescolano nei campi di barbabietola. 
Mi è tornato in mente il segmento firmato da Ken Loach del film 11 settembre 2001, nel quale il regista britannico ci ricordava gli eventi tragici dell’11 settembre 1973, quando Allende fu deposto e ucciso. Anche all’origine di quel colpo di stato sanguinario e del regime esecrabile che ne seguì c’era il rifiuto dei principi che il pensiero illuminista aveva introdotto nella civiltà umana, una delle contraddizioni della nazione che proprio su quei principi era stata fondata e che, si deve riconoscerlo, nel corso della sua storia, sia pure in maniera diseguale e non sempre nel modo migliore, li aveva rispettati e li aveva difesi a caro prezzo anche al di fuori del proprio territorio.
E’ certo che l’involuzione di cui parlavo ha avuto e ha tutt’ora gravi manifestazioni negli Stati Uniti, ma non è soltanto nell’involuzione americana che dobbiamo cercare l’origine della situazione drammatica che attraversa l’umanità. L’involuzione è diffusa geograficamente e multiforme, alimenta la politica e da essa viene alimentata, ma trova stimoli e condizioni favorevoli anche altrove. Anche nella tecnologia. Anche nel modo in cui conduciamo la nostra esistenza, nelle abitudini e nei valori sui quali la fondiamo. Nell’atteggiamento con cui ci poniamo in relazione con i nostri simili e negli strumenti con i quali cerchiamo di formare le nostre opinioni su quel che accade attorno a noi.
La civiltà siamo noi. Noi esseri umani. Siamo noi soli a poter curare i nostri mali più gravi.





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