sabato 31 marzo 2018

Understatement? Non in Italia e non su Facebook


Guardo poco la televisione. Per tante ragioni sulle quali non intendo annoiare voi tre lettori. Quello che conta, per questo post, è, appunto, il mio conoscere assai poco ciò che viene trasmesso sulle reti televisive italiane, non solo quelle generaliste (non ho abbonamenti di nessun genere).
Conseguentemente conosco assai poco anche i personaggi televisivi, incluso Fabrizio Frizzi.
Non posso, perciò, giudicare se quello che riferiscono di lui i mezzi di informazione sia corretto o meno. Nelle poche occasioni in cui mi è capitato di vedere la trasmissione che conduceva su Rai Uno, mi è parso uomo garbato, un po’ svagato, di certo assai più composto di parte dei colleghi (donne e uomini).
Detto questo, come altre persone, mi chiedo se l’attenzione e lo spazio dedicati dalla stampa alla sua morte non siano decisamente fuori luogo. Mi chiedo anche se davvero Frizzi meritasse di essere commemorato e celebrato come non è accaduto a personalità che hanno dato ben altro contributo alla cultura italiana. Mi chiedo anche se davvero fosse giusto che ci venissero riportate le parole di quasi chiunque abbia deciso di parlare di lui, colleghi e non (e troppi si sono sentiti in dovere di esprimersi). Mi chiedo anche se davvero il chiasso dei nani e delle ballerine dello spettacolo italiano fosse una celebrazione autentica di Frizzi e non piuttosto l’ennesimo e squallido tentativo di ottenere un po’ di attenzione mediatica da parte dei membri di una casta, una delle tante che abbiamo in Italia.
Buona stampa. Riprendo le parole di Montanelli citate da Gramellini come conclusione del pezzo: “le uniche lacrime sincere sono quelle che versiamo da soli in una stanza buia e priva di specchi”.
Ecco, queste parole spiegano esattamente cosa ho provato di fronte allo smodato clamore con cui la morte di Frizzi è stata pianta, raccontata e commentata. 
Cambiamo, solo parzialmente, argomento. Nella sua rubrica, Gramellini sottolinea come Michelle Hunziker sia stata oggetto di critiche sui social network per non aver manifestato i propri sentimenti riguardo alla scomparsa di Frizzi. 
Non mi stupisce che Hunziker sia stata bersagliata dal cosiddetto popolo dei social, perché da tempo mi pare assodato come questo cosiddetto popolo sia formato prevalentemente da individui che, evidentemente, ignorano il significato di numerose parole. Penso, per esempio, a discrezione e compostezza, educazione e rispetto…
Aggiungo qualche riflessione sull’argomento, senza ovviamente, pretendere di essere esauriente. Non conosco Twitter, che ho impiegato solo pochissime volte per comunicare con alcuni giornalisti. Conosco meglio Facebook, che frequento regolarmente da circa quattro anni, sebbene non ne faccia uso smodato, anzi. Quello che vedo, tuttavia, mi basta per ritenere che i social network abbiano accentuato i problemi delle relazioni interpersonali (già numerosi e gravi nella nostra epoca), sviluppando meccanismi che sono solo simulacri delle autentiche amicizie e dell’autentica comunicazione tra umani. Meccanismi dei quali buona parte degli utilizzatori si serve per esternare senza inibizioni, in maniera anche scomposta e volgare, i propri sentimenti e le proprie emozioni riguardo a persone o fatti. E non parliamo della questione delle notizie inventate.
Penso che a Facebook e Twitter sia stato consentito di svilupparsi e diffondersi con troppa libertà, senza un controllo adeguato sulle modalità con cui offrono i propri servizi e gestiscono la relazione con gli utenti. E credo che azionisti e management abbiano sfruttato questa libertà in maniera assai spregiudicata.  
La cultura aziendale di Facebook, già chiacchierata e, soprattutto, ormai valutata criticamente anche dai mercati finanziari, ha subito in queste ore un altro duro colpo con la rivelazione di una lettera interna. Ecco il resoconto da The Financial Times: https://www.ft.com/content/126b86c8-33ac-11e8-b5bf-23cb17fd1498.
Buona stampa.
Vedremo se Mark Zuckerberg imporrà una svolta autentica alle modalità di gestione di Facebook. Non mi pare, però, incline a farlo, visto che l’atteggiamento, per ora, è difensivo, teso a ridare fiducia agli utilizzatori e a rassicurarli sul tema della tutela dei loro dati personali, mentre non si coglie l’ansia di mettere in discussione il modello di business perseguito sinora e le scelte manageriali conseguenti. Se mai Zuckerberg decidesse di farlo, comunque, il percorso sarà lungo e difficile: il cambiamento (e soprattutto la resistenza al cambiamento) è uno degli argomenti più approfonditi dalle discipline che studiano le organizzazioni aziendali. 
Un buon segno sarebbe quello di modificare gli obiettivi degli algoritmi che studiano i comportamenti degli utenti. Anziché farlo per offrire pubblicità mirata e suggerire persone o opinioni che potrebbero interessare, indipendentemente dagli atteggiamenti e dall’equilibrio delle prime e dalla qualità e dal tono delle seconde, mi piacerebbe che Facebook si preoccupasse davvero di abbassare il livello dei conflitti che ospita e di sanzionare efficacemente coloro che si servono del mezzo per diffondere informazioni infondate e per aggredire chi ha idee diverse.
E adesso, coerentemente, mi affretto a condividere questo post su Facebook…

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